Scorrono davanti ai miei occhi carrellate di foto e di video, di pseudo vacanze e giornate ridenti. L’effetto delle vite degli altri. Esistenze che raccolgono l’immagine di perfezione. Figli immortalati, mariti sorridenti, momenti unici. Impossibile non venirne colpiti o quasi inevitabile non fare paragoni, soprattutto se nel frattempo ti ritrovi con le mensole della libreria che ti crollano addosso per il peso che hanno sopportato in questi anni e valuti il rapporto qualità-prezzo della spesa Ikea fatta. Mentre accatasti i volumi e scopri quanto sei brava nell’accumulare il peso del sapere, non è difficile realizzare che per quanto tutto sia possibile, quelle immagini che in fondo un po’ invidi, non saranno mai tue.
Ormai da tempo so che ci sono cose che non accadranno mai. Non diventerò mai madre. Non potrò quindi immortalare i miei discendenti diretti in foto ad hoc, sfoggiando una maternità che mi è stata negata per sempre. Non sarò mai nemmeno quella persona che in ogni istante della sua esistenza non perde occasione per far sapere quello che sta facendo o pensando. Non sarò colei che ottiene complimenti, perché a mala pena è in grado di farne. Non sarò quella che scrive lunghe didascalie a commento delle sue avventure. E in fondo un po’ invidio chi ci riesce.
Invidio chi guarda a se stesso, fiducioso del fatto che andrà tutto bene. Invidio chi si può permettere di parlare di figli, di pagelle, di fatiche quotidiane, di mariti inaffidabili e brontoloni. Invidio il senso che tutto questo porta con sé: una società che accetta, che accoglie quanto rientra nei canoni stabiliti, senza tradire le aspettative.
Sono ormai anni che dovrei aver imparato, ma come dice la mia amica S., probabilmente non ho ancora elaborato il lutto di quanto perso. Non ho ancora messo da parte il desiderio che accada per me lo stesso , pur senza figli o compagno. Non ho ancora accettato di non essere presa in considerazione, perché coinvolgermi è scomodo e occorrerebbe prendere le dovute cautele. Non accade nulla di bello perché non ho i corretti riferimenti per affermarlo.
Mi domando anche a chi può interessare sapere che pur senza il necessario occorrente, la vita continua lo stesso. Non sarà semplice conformarsi, ma il mondo è pieno di nicchie nelle quali si accomodano donne diverse, donne che raccontano di viaggi, di stanchezze, di ore di studio. Non svelano la propria esistenza legata ad un amore oppure a un compagno, né tantomeno tirano fuori dal cilindro bambini, ma non significa che amino di meno o che non siano disposte a mettere a rischio una parte di sé in nome di qualcosa in cui credono. E certamente più naturale accarezzare un’esistenza che non ha bisogno di troppe spiegazioni, dove alla domanda: “hai figli?” è semplice rispondere con un numero, senza sentirsi quasi in dovere di dover tirare fuori un bambino seduta stante per evitare imbarazzi, o rispondere semplicemente sì, se ti chiedono se sei sposata. Io non sono sposata, non ho un compagno e non ho procreato, ma nonostante tutto, esisto. Difficile crederlo, anche per me che mi vergogno quasi di quella che sono, come se fossi un fallimento, come se dovessi continuamente giustificare la mia parte mancante.
Probabilmente vivo di un orgoglio ferito, in cui il presente ha un gusto davvero amaro che non tende ad addolcirsi. Forse occorre tempo per smettere di considerare quanto accaduto una punizione, una prova dura, guardandosi con benevolenza, specie se il riflesso di rimando è molto distante dalla realtà immaginata.